Libro Bianco (ISRATIN)
Questo Libro Bianco punta al raggiungimento di una giusta ed equa soluzione al cosiddetto problema cronico del Medio Oriente e a liberare la regione dagli effetti disastrosi della violenza, della guerra e della distruzione. In ciò, presente il problema in maneria seria, oggettiva e neutrale. Il Libro raccoglie prospettive e concetti già espressi sia da arabi sia da ebrei, assieme a progetti internazionali di risoluzione. Tutti sostengono e rivendicano la soluzione proposta in questo lavoro. Nessun altro concetto potrebbe risolvere il problema.
Palestina:
Questo è il nome riportato nella storia e nei registri del paese. Deriva dal nome originale degli abitanti: i Filistei. Nell’Antico Testamento, i libri della Genesi, del Deuteronomio e di Giosuè riconosco quel nome alla terra. L’Antico Testamento, tra gli altri, registra i nomi degli Anachiti, dei Refaiti, dei Caananiti, degli Iebusiti, degli Ittiti e dei Fenici. Il Libro dell’Esodo dice chiaramente: “Quando il Faraone lasciò andare il popolo, Dio non li condusse alla terra dei Filistei”.
Il nome “Palestina” persistette per tutto il mandato britannico. Lo si trova nei tanti progetti e accordi proposti in quel periodo. I fatto è riconosciuto anche dai fanatici del Movimento Sionista; come Samuel Katz, per esempio, fondatore del movimento sionista di Herut e tra i leader della Organizzazione Militare Nazionale Etzel, che scrisse: “Tutte le istituzioni sioniste al mondo ebbero il nome di Palestina”.
I suoi esempi comprendono la Banca Anglo-Palestinese Sionista, il Fondo della Fondazione Ebraica, conosciuto come Fondo della Fondazione Palestinese, e il Fondo dei Lavoratori Palestinesi, che era ebraico. Asserì anche che, nella Diaspora, i canti sulla Palestina erano inni sionisti.
Notò anche che, come emigranti in terra straniera, celebravano anche la Festa dei Tabernacoli come Festa dei Tabernacoli Palestinesi. Dichiara anche che il Palestine Post, detto anche al-Barid al-Filistini, era un giornale sionista portavoce della Federazione Sionista. “Il nome di Palestina” scrisse, “venne sostituito solo dopo l’istituzione di ciò che era detto lo Stato d’Israele”.
Egli ammette che la lingua ebraica venne in uso a Tiberiade nel decimo secolo. Persino il Presidente degli USA Roosevelt, in risposta al Principe Abdallah di Giornania nel marzo 1944, scrisse: “In merito alla Palestina, ho il piacere di comunicarle la garanzia che gli Stati Uniti d’America non hanno in programma alcuna decisione di cambiare la situazione in Palestina senza piena consultazione dl popolo arabo e del popolo ebreo”.
A prescindere dal nome, la storia della Palestina rispetta il percorso generale di altri paesi della regione. Come loro, è un paese che era abitato da diversi popoli. Il dominio e il potere politico cambiavano di mano ripetutamente tra tante tribù, nazioni e gruppi etnici, alcunni dei quali erano immigranti e altri invasoli. Come altri paesi in quella regione, ha visto tante guerre ed è stato testimone di ondate di immigrazione da tutte le direzioni.
Perciò, in una prospettiva storica, nessuno ha il diritto di rivendicarne la proprietà. Ciò non sarebbe che una rivendicazione senza base. Se nessuna delle parti può riventicare il diritto a una delle parti della Palestina, nemmeno possono rivendicare diritti verso l’altra.
Uno stato per gli ebrei:
L’idea originale di Theodore Hertzl era di stabilire uno stato ebraico come rifugio sicuro per gli ebrei. Il motivo immediato in questa idea consisteva nelle persecuzioni a cui gli ebrei erano soggetti, specialmente in Europa, prima di Hitler. Si suggerirono Cipro, Argentina, Uganda, Al Jabal La Akhdar, Palestina e Sinai come locazioni possibili per uno stato ebraico proposto per liberare l’Europa dagli ebrei. Perciò, come conferma questo corso di eventi, la Palestina non era necessariamente o inevitabilmente la madrepatria degli ebrei.
La Dichiarazione di Balfour:
Il vero intento dietro la Dichiarazione di Balfour era di liberare l’Europa dagli Ebrei, più che di esprimere simpatia verso di loro.
Le persecuzioni degli ebrei:
Gli ebrei sono un popolo sfortunato. Sin dall’antichità hanno sofferto a causa dei governi, dei capi e degli altri popoli. Perché? Perché tale è la volontà di Dio, proprio come il corano chiarifica nei resoconti dell’Egitto di Faraone e come dimostra il trattamento loro impartito dai regnanti di Babilionia, dagli imperatori romani da Tito ad Adriano, dai re d’Inghilterra come Edoardo I.
Gli ebrei sono stati banditi, tenuti prigionieri, massacrati, discriminati e perseguiti in tutte le maniere possibili da egiziani, romani, inglesi, russi, babilonesi, canaaniti e, più di recente, da Hitler.
Arabi ed ebrei:
Non c’è inimicizia tra arabi ed ebrei. Infatti, gli ebrei sono cugini adnaniti degli arabi per parte di padre, che era discendente di Abramo, pace a lui. Quando gli ebrei vennero perseguiti, i loro fratelli arabi li invitarono a vivere con loro nella città di al-Medina. Diedero loro addirittura la terra di Wadi al-Qura, così chiamata in riferimento ai villaggi ebrei [Al. Qura].
In seguito all’emergere dell’Islam sotto il Profeta Maometto, pace e bene a lui, gli ebrei ritennero sgradevole l’idea di un profeta al di fuori dei loro ranghi e quindi gli dimostrarono la loro ostilità. Cominciarono gli attacchi contro di loro, così come ci furono attacchi contro coloro che venivano dal Quraish, che non volevano accettare l’Islam, e contro i gli arabi che all’inizio accettarono l’Islam e in seguito lo rifiutarono.
Gli ebrei, assieme agli arabi, vennero espulsia dall’Andalusia alla fine del 15° secolo. Tutti loro trovarono rifugio nei paesi arabi. È per questo che c’è un quartiere ebreo in ogni paese arabo. Là vissero in pace e amicizia coi loro fratelli arabi.
Soluzioni proposte per l’istituzione di un singolo stato:
Proposta britannica:
- Progetto Walkhope:
Venne proposto dall’Alto Commissario Britannico in Palestina all’inizio degli anni ’30. Stabiliva l’istituzione di un Consiglio Legislativo Palestinese costituito da 11 mussulmani, 4 cristiani e 7 ebrei, secondo la composizione demografica della Palestina dell’epoca.
- Progetto Newcombe
- Istituzione di uno stato sovrano palestinese indipendente.
- Ampia libertà di sette.
- Ampia libertà municipale.
- Decentralizzazione
- Carta Bianca inglese del 1939:
- Stato indipendente federale palestinese.
- Consiglio consultivo comprendente arabi ed ebrei.
- Consiglio esecutivo comprendente arabi ed ebrei.
- Programma di Lord Morrison:
- Governo Centrale.
- Quattro aree amministrative: area araba, area ebrea, Gerusalemme e Negev.
- Governo locale e consiglio legislativo per ogni area.
Tutte queste proposte vennero rifiutate per ragioni non sostanziali, come ad esempio: insoddisfazione per le aree delle città concesse a una delle parti, differenza della durata del mandato britannico o altro correlato al numero di immigranti.
La proposta sionista:
- La prima proposta venne dalla cosiddetta “Fondazione per la Pace” guidata dal Rabbino Benjamin, che invocava uno stato bi-nazionale. Gli ebrei erano avvertiti che la mancata accettazione di uno stato binazionale non li avrebbe portati alla pace. Come previsto, ciò è esattamente quanto successe.
- La soluzione confederata o federale proposta da Meir Emmit, un leader eminente nel movimento sionista e nell’organizzazione Haganah, che occupò parecchie posizioni militari importanti e di spicco. Tra i tanti incarichi, fu anche membro dell’assemblea legislativa (Knesset) e ministro del governo.
Meir Emmit ritiene che una concessione strategica dei territori occupati – per tali intende, naturalmente, il Sinai, il Golan, la Cisgiordania e Gaza – sarebbe equivalente all’offerta di regalie tangibili per le quali, secondo lui, potrebbe non esserci compenso. Anche se l’Egitto ha offerto compensi, erano soggetti a mutamento.
Meri ha discusso la fattibilità di istituzione di uno stato federale dando gli esempi dell’Unione Europea, degli Stati Uniti d’America – che, secondo lui, hanno avuto tredici anni di agitazioni sino al 1789 – e della Nigeria, stato multi-confessionale e multi-nazionale, dal suo punto di vista. Ha scritto infatti che esistono in Palestina i fattori di ordine economico, militare, geografico e storico a sostegno di tale soluzione.
Inoltre ha notato che l’istituzione di uno stato palestinese indipendente costituirebbe un grave pericolo. Per evitare tale pericolo, bisogna istituire un solo stato federale. “Il problema di Gerusalemme”, ha scritto, “potrebbe essere risolto semplicemente facendola capitale federale”.
- Proposta dei sionisti tedeschi: il XII Congresso dei Sionisti Tedeschi (la Scuola Strutturalista), riunitosi l’11 settembre 1921, adotò il concetto di istituzione di uno stato singolo per entrambe le parti e quindi di “istituzione di un luogo in alleanza col popolo palestinese arabo per la nostra sicurezza congiunta nello sviluppo di uno stato. La struttura dello stata garantirà lo sviluppo nazionale di ciascun individuo dei nostri due popoli senza interferenze né pregiudizi”.
Proposte arabe:
- Prima proposta di Re Abdallah:
- Un solo regno
- Amministrazione scelta tra gli ebrei nelle aree da essi abitate.
- Un parlamento, in cui gli ebrei fossero rappresentati in proporzione alla loro fascia demografica.
- Governo misto.
- Seconda proposta di Re Abdallah:
Divisione della Palestina tra Libano, Giordania ed Egitto, col rimanente agli ebrei.
- Proposta di Nuri Al-Said (1942):
- Stato unico
- Autonomia ebraica all’interno dello Stato.
Tutte le proposte prima del 1948 sostenevano lo stato unico e qualcuna si rivolgeva agli ebrei nella stessa maniera in cui oggi vengono trattati i palestinesi, cioè soprattutto in termini di offerta di autonomia e di divisione di territori.
La mancata accettazione dell’idea di un unico stato è quindi l’errore storico alla base della tragedia di oggi. Una dichiarazione che istituisca un unico stato di una sola parte per suo proprio vantaggio è altresì un errore. Il concetto di divisione ha dato prova del suo fallimento e continuerà a farlo.
Prima del 1948 gli ebrei erano considerati esattamente come lo sono oggi i palestinesi: una minoranza in Palestina nutrita di illusioni di autogoverno prima e di aree autonome poi. I palestinesi erano la maggioranza; ecoc perché rifiutarono la ben nota delibera di divisione del 1947. Dopo il 1948 la situazione si rovesciò. I palestinesi divennero la minoranza in seguito alle guerre del 1948 e del 1967.
Gli ebrei divennero la maggioranza nell’area chiamata Israele. Agli arabi si fecero promesse di autonomia, aree autonome e divisioni, esattamente come prima erano state fatte agli ebrei.
La soluzione storica definitiva è quella proposta in questo Libro Bianco.
Lo scopo di questa rassegna delle varie proposte è di ricordare che l’idea di uno stato unico in Palestina è sempre stata sul tavolo delle trattative. Il rifiuto di tale soluzione è la causa della tragedia provata da quella regione oggi. L’alternativa allo stato unico è quello che oggi sta di fronte ai nostri occhi.
Le soluzioni a due stati: rischi e idee sbagliate:
Uno studioso israelita, Generale di Brigata con l’ufficio di comandante militare in Cisgiordania dal 1974 al 1976, una volta disse che non era possibile accettare la divisione della Palestina o dare l’assenso al governo straniero sui territori d’Israele e motivava il suo rifiuto coi fatti seguenti, che per la loro natura essenziale non si possono ignorare:
La Cisgiordania è larga 50 chilometri. È un’area montuosa con cime fino ai 1000 metri. Sovrasta il centro vitale di Israele: una pianure costiera di non più di 14-20 km di larghezza. Ci vive il 67% della popolazione di Israele ed è sede dell’80% delle industrie. La presenza di una controparte in Cisgiordania pone una minaccia diretta al centro vitale di Israele e quindi non si può accettare.
Il Generale di Brigata Mieer Bael è un moderato[1], un membor della sinistra sionista e del Consiglio di Pace; e comunque dichiara categoricamente: “Abbiamo un diritto storico alla Cisgiordania. Molto la credono ‘il cuore della nazione ebraica’. Il nostro diritto a conservarla è sancito da ordine sacro nelle tradizioni e nei doveri religiosi e storici in cui crede il popolo d’Israele”.
Lo stesso discorso per non concedere la Cisgiordania per motivi di sicurezza essenziale è ripreso da Arie Shalev, studioso e Generale di Brigata, che ha scritto: “Se perdessimo la Cisgiordania, tra Tulkarem e Netanya ci sarebbero solo 15 km e la Qalqiliyah e la costa di Herzylia solo 14 km. Per la mancanza di ampiezza strategica Israele sarebbe così esposto a qualsiasi minaccia. Nel caso in cui un conflitto esploda in Cisgiordania, Israele sarebbe diviso in due o tre parti se l’esercito arabo arrivasse alla costa”. E continua così: “Anche senza guerre, Israele rimarrebbe comunque costantemente minacciato dalla Cisgiordania. Anche il suo spazio aereo sarebbe alla mercè della Cisgiordania stessa”.
Ha anche detto: “A tutela della sicurezza di Israele, la Cisgiordania deve essere divisa in tre posizioni di difesa, cioè la Valle del Giordano, le pendici dei Monti di Samaria e il Deserto di Giudea, e le alte vette che congiungono Jenin, Tobas, Nablus, le alture di Lafuna, Ramalla, Gerusalemme, Betlemme e Tikwa.
Ciò si aggiunge alle linee fisse di difesa nel sud della Striscia di Gaza. Ogni area di separazione tra i palestinesi e gli israeliti non sarebbe fonte di sicurezza per questi ultimi. In effetti, costituire un fattore di irritazione costante ai fini della sicurezza”. E comunque ha notato che “le politiche di Israele hanno avvelenato l’idea sionista di trasformare il paese in uno stato bi-nazionale”.
Il professor Shalom Evener ha detto: “La disputa israeliano-palestinese è diversa da tutte le altre dispute del diciannovesimo e del ventesimo secolo, che sono state in sostanza dispute di confine, anche se alcune sono durate più di cent’anni. L’essenza della disputa israeliano-palestinese è diversa.
È una lotta tra due movimenti, ognuno dei quali crede che lo stesso territorio gli appartenga o faccia comunque parte della sua patria nazionale. Così i palestinesi credono che ciò che oggi è chiamato Israele sia parte della loro nazione anche se essi stessi sono in possesso di Cisgiordania e Gaza. Allo stesso modo, gli ebrei credono che la Cisgiordania sia in realtà la Giudea e la Samaria.
La vedono come parte della loro patria, anche se vi si istituisse uno stato palestinese”. Sulla Cisgiordania ha scritto: “Per gli ebrei è patria storica, sede di un retaggio glorioso e terra di salvezza. Per gli arabi”, continua il professor Evneri, “è la loro terra, su cui hanno avuto il potere come arabi e mussulmani dal settimo secolo. La maggioranza degli abitanti sono arabi mussulmani.
Fa parte della grande patria araba, che si estende dal Golfo fino all’Oceano Atlantico. In ciò non è diversa dallo Yemen o dall’Iraq. Evneri osserva anche che gli arabi la chiamano Palestina o Siria Meridionale.
Al contrario, il movimento sionista la chiama Terra d’Israele. In tale situazione, scrive: “uno dei due movimenti deve distruggere l’altro, altrimenti bisogna raggiungere un compromesso. Il compromesso è l’istituzione di uno stato unico per tutti che consenta a ogni parte il senso di vivere in tutta la terra soggetta a disputa senza sentirsi privati di alcuna parte di essa. Il riconoscimento dell’autodeterminazione della Palestina non vuol dir altro che la definizione dell’area di attività permessa loro da Israele. Egli si oppone a tale soluzione perché, a suo parere, non è affatto una soluzione.
Il professor Evneri scrive altresì: “Io non sostengo l’istutizione di uno stato palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza perc hé non è possibile separare un milione di palestinesi che abitano a est del Giordano dalla loro identità palestinese.
Uno stato palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non potrebbe risolvere il problema dei rifugiati, anche di quelli in Libano e in Siria. Qualsiasi situazione che tenga la maggioranza dei palestinesi nei campi profughi e non offre una soluzione dignitosa all’interno dei confini storici di Israele/Palestina non è affatto una soluzione.
Nemmeno l’istituzione di uno stato palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, preparato a vivere in pace con Israele, anche con una leadership moderata altra che l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), sarebbe una soluzione reale. Tale soluzione non affronterebbe il problema dei profughi e del rimpatrio, anche solo per ospitare i profughi dal Libano e dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza. L’aera è troppo piccola per assorbire tali numeri.
Yahu Shifat Herkabi, stratega e studioso sionista, docente universitario specializzato nel conflitto arabo-israeliano e autore di diversi libri, scrive: “L’accettazione di uno stato palestinese in Cisgiordania da parte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina non è altro che una mossa tattica per pareggiare i conti con Israele. [La Palestina] chiederà di più; continuerà lo sforzo per raggiungere obiettivi ulteriori. Accettare uno stato in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non fa altro che rimandare la prosecuzione del conflitto a uno stadio più avanzato.
“L’esperienza delle zone demilitarizzate è fallita clamorosamente. Il controllo e la sovranità su di esse sono dubbi e stemperati. In quanto tali, sono causa di conflitto e non di stabilità”.
“L’istituzione di uno stato indipendente palestinese avrebbe messo fine anche al sogno israeliano di un Grande Israele; avrebbe anche costretto i palestinesi a cedere il resto della Palestina. Tale staterello sarebbe stato sensibile a interferenze sempre maggiori nei suoi affari interni da parte di Giordania e Israele. Ciò avrebbe portato inevitabilmente al conflitto armato.
Mati Steinberg, docente alla Hebrew University, scrive: “L’accordo sull’obiettivo transnazionale dell’istituzione di uno stato palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non deve in qualsiasi circostanza venire interpretato come concessione in cambio dell’obbiettivo finale. L’accordo non è altro che una breve fase nel quadro della mentalità convenzionale che rimane immutata. Il docente sionista teme che un accordo sull’esercizio dell’autodeterminazione debba poi valere anche per i cosiddetti arabi israeliani e per i palestinesi in Giordania.
LA SOLUZIONE STORICA FONDAMENTALE: “Isratina”: un unico stato per ebrei e palestinesi.
Prerequisiti:
Il ritorno dei profughi palestinesi e dei dispersi ovunque essi siano, se tale è il loro desiderio. Non è ammissibile che gli ebrei, che in origine non erano abitanti della Palestina e i cui antenati non erano in origine abitanti del paese, vengano portati dall’estero, e che invece ai palestinesi, che hanno lasciato la Palestina come profughi e dispersi solo poco tempo fa, in seguito alla guerra del 1948, non venga concesso lo stesso diritto. Gli ebrei sostengono che non hanno espulso i palestinesi.
Sostengono che i palestinesi hanno creduto a pretese propagandistiche e hanno abbandonato le loro case. Basti notare che uno di questi famosi devoti, Samuel Katz, membro del primo Knesset e capo del movimento Herut e dell’Organizzazione Militare Nazionale Etzel, citò le parole del Pascià di Glubb: “I cittadini arabi vennero invasi dal terrore e abbandonarono i loro villaggi senza essere esposti ad alcuna minaccia durante la guerra”.
Katz suggerisce che così nacque la menzogna che gli ebrei avessero esplulso con la forza gli arabi dai loro villaggi e scrive: “I gli inviati dei giornali alla guerra del 1948, per la maggior parte ostili agli ebrei, parlarono della fuga degli arabi; ma non dissero che era una fuga costretta, non lo insinuarono nemmeno”. Katz quindi ammette che si verificò un fenomeno insolito, cioè che gli abitanti abbandonarono le case. Ammette anche che si verificò su larga scala. Inoltre riconosce che si tratto di masse di contadini, fortemente attaccati per tradizione alle loro terre. Dichiara anche che “gli uomini fuggirono senza difendere le loro case. La fuga in massa, collettiva e su larga scala di questi palestinesi richiede una spiegazione logica”.
Katz cita anche le parole del corrispondente in Amman del “Times”, che ha scritto che Siria, Libano, Giordania Est e Iraq si riempirono coi profughi da Israele e espresse sorpresa per come fuggirono e non rimasero a opporre resistenza. Katz cita anche Emil al-Ghuri, Segretario alla Suprema Autorità Araba, che si rivolse alla commissione politica delle Nazioni Unite il 17 novembre 1960 con le seguenti parole: “Furono gli atti sionisti di terrore, assieme agli eccidi di massa che causarono l’esodo di massa degli arabi dalla Palestina. La propagazione di queste menzogne avrebbe potuto essere stroncata sul nascere”.
Le citazioni estese servono a sottolineare due cose. La prima è il riconoscimento di un esodo di massa che ebbe luogo. La seconda è la chiarificazione che le ragioni dell’esodo erano la propaganda del terrore e le false dicerie di massacri che non si verificarono mai nei fatti, in paricolare i famigerati eventi che si disse che fossero successi nel villaggio di Deir Yassin.
Queste citazioni e testimonianze e le prove ivi contenute non sono che frammenti del vasto insieme di conoscenze sull’argomento e sono inserite in questo Libro Bianco allo scopo di consentirci di trar vantaggio da loro nella ricerca di una soluzione definitiva. Le testimonianze dei leader sionisti, degli studiosi e degli osservatori neutrali serve a stabilire quanto segue:
In primo luogo, che i palestinesi abitarono queste terre e che ivi possedevano fattorie e case fino al 1948 e al 1967.
In secondo luogo, che lasciarono questa terra nel 1948, lasciando case e terre, per paura di massacri, a prescindere se questi massacri si verificassero veramente o no.
In terzo luogo, che i leader e gli studiosi più importanti nel movimento sionista, compresi i partecipanti alla guerra del 1948, testimoniano che gli ebrei non espulsero i palestinesi dalla Palestina né dalle loro fattorie né dalle loro case. In verità, i palestinesi credettero alle voci che circolavano e, presi dal terrore, lasciarono la Palestina.
In quarto luogo, che i fuggiaschi formavano un gruppo grande, che l’esodo fu su scala significativa.
Ciò è provato e ci sarà di aiuto nel risolvere il problema.
Perciò gli ebrei non odiano i palestinesi. Non vogliono espellere i palestinesi dalla loro terra, la Palestina. Non decisero di massacrarli, come dicono le voci. Anche il massacro di Deir Yassin non ebbe mai luogo. Infatti furono gli arabi non palestinesi ad attaccare la Palestina e a dichiarare guerra agli ebrei.
Per trovare una soluzione al problema, concediamoci di credere a tutto quanto detto e torniamo all’inizio, al punto d’origine, propriamente al ritorno dei palestinesi che lasciarono la Palestina tra il 1948 e il 1967. Gli ebrei sottolineano che loro non esplusero i palestinesi.
I palestinesi scapparono quindi per le ragioni suddette. Ciò logicamente significa che nemmeno gli ebrei, che hanno occupato la loro terra, potrebbero obiettare alla permanenza in loco dei palestinesi. Ecco la chiave di soluzione del problema: il ritorno dei profughi palestinesi in Palestina. Tale misura avrebbe l’effetto di rimettere tutto al suo posto debito. Porterebbe infatti a compimento la Risoluzione delle Nazioni Unite dell’11 dicembre 1948. Tale risoluzione prevede, al paragrafo 11, il ritorno dei profughi, Non c’è alcuna base legittima o diritto legale a ciò.
Per risolvere il problema, teniamo a mente la lezione della storia. Come abbiamo visto, l’Antico Testamento e la storia della regione registrano che la Palestina ha visto diverse migrazioni di numerosi popoli e tribù.
Era oggetto di lotta per l’intera terra, non per solo una parte. I palestinesi erano gli abitanti originali – la Palestina deriva il nome appunto dai Filistei – e gli ebrei e il Movimento sionista hanno chiamato il paese “Palestina” fino al 1948. E, come abbiamo visto in precedenza, ogni movimento, banca o istituzione sionista aveva nel nome “Palestina”, pratica che, per loro stessa testimonianza, continuò sino al 1948.
Come abbiamo detto prima e come la storia della regione illustra chiaramente, nessuno, appunto, ha il diritto di rivendicare per sé solo l’intera Palestina o nemmeno il diritto di garantire parte della Palestina ad altri.
Il fallimento inevitabile della divisione:
Due stati confinanti che vivono fianco a fianco:
- In primissimo luogo, questi non saranno due stati confinanti che vivono fianco a fianco. Sono intrecciati, interconnessi e tagliati l’uno sull’altro in termini sia demografici sia geografici.
- L’istituzione di un altro stato in Cisgiordania ridurrebbe l’ampiezza del cosiddetto Stato d’Israele a soli 14 km. Gli israeliani non lo permetterebbero mai.
- Tutte le città della costa sarebber alla mercè dell’artiglieria da campo di medio raggio da qualsiasi posto della Cisgiordania.
- Si vedano gli appunti nella sezione intitolata “Due stati: rischi e idee sbagliate”
- Qualsiasi zona cuscinetto diventerebbe fonte di tensioni sulla sicurezza e non di sicurezza in sé. Diventerebbe l’oggetto di uno scontro per il controllo o il vantaggio. Nella storia mondiale, le zone cuscinetto sono state per tradizione la causa di tante guerre e conflitti.
- I palestinesi non accetterebbero uno staterello: vogliono uno stato, armato e in grado di difendersi. Dovrebbe avere lo stesso diritto ad armarsi degli stati confinanti. È un diritto naturale e legittimo, a cui nessuno può fare obiezione.
- L’area intera, dal Fiume Giordano al Mediterraneo, non è affatto grande abbastanza per due stati.
- La Cisgiordania e la Striscia di Gaza non sono larghe abbastanza per ospitare profughi, tantomeno tutti quelli in Libano e in Siria, per non dire di quelli dispersi per altre aree del mondo.
- C’è il problema dei dispersi recenti. Dove potrebbero finire? La Cisgiordania e la Striscia di Gaza non sono la terra dei dispersi da quelle terre.
- Il cosiddetto Stato d’Israele non è abbastanza grande per accogliere nuovi immigranti.
- L’assimilazione è già in atto e potrebbe diventare modello per ogni caso in cui due parti opposte vogliano fondersi in uno stesso stato. Al suo stato attuale, tale assimilazione costituisce i fondamenti su cui un singolo stato deve costruirsi.
Ci sono un milione di palestinesi nel cosiddetto Stato d’Israele. Sono in possesso della nazionalità isreaeliana, prendono parte alla vita politica al pari degli ebrei e formano i loro partiti politici. Il loro numero è destinato ad aumentare da un milione a diversi milioni col tempo. Lo stesso vale per i cosiddetti territori israeliti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
Se gli ebrei che ivi risiedono ammontano attualmente a centinaia di migliaia, aumenteranno finoa diventare un milione e più col passar del tempo. La creazione del cosiddetto Stato di Israele nel 1948 non è solo uno stato per gli ebrei. Ci sono anche cristiani ed ebrei ortodossi, mussulmani e drusi, arabi e israeliti, falascia e altri.
- L’esistenza di ogni parte dipende dall’altra. Le fabbriche israeliane hanno bisogno della forza lavoro palestinese. Beni e servizi si scambiano da entrambe le parti.
- Il ben noto sionista Mieer Bael, le cui vedute sono state citate in precedenza, reitera il punto: “Ognuno dei due gruppi [cioè i palestinesi e gli ebrei] è destinato a integrarsi sempre più. Da un lato, l’integrazione si raggiunge attraverso gli ebrei stabiliti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza; dall’altro”, secondo Bael, “l’integrazione è spinta oltre dall’espansione in massa della forza lavoro araba in tutte le aree di Israele”.
In ogni edificio costruito, in ogni campo seminato, in ogni fabbrica che abbia bisogno di operai, in ogni albergo, ristorante o servizio municipale di pulizia e in ogni servizio pubblico lavorano ogni giorno decine di migliaia di palestinesi. Qui lavorano giovani palestinesi da Nablus, da Gaza, da Tiba, dalla Galilea e dall’Hebron.
Data la situazione, non sarebbe fattibile né pratico dividere la Palestina in due stati. Sotto la divisione non ci sarebbe uno stato chiamato Israele né ci sarebbe uno stato chiamato Palestina. Chi difende la divisione della Palestina in due stati o non conosce la natura della regione e della sua demografia o vuole sbarazzarsi del problema e metterlo in mano agli ebrei e ai palestinesi. Sembrerebbe che così si potesse risolvere il problema, ma nel tal caso saremmo insinceri: avremmo fatto poco più che mettere fondamenti a nuovi conflitti.
Terra degli Avi, Terra Promessa:
I palestinesi vedono le città costiere di San Giovanni d’Acri, Haifa o Jaffa e altre come città loro, come terra degli avi passata da generazione in generazione. È passato poco tempo da quando vi abitavano ancora e prova ne è che oggi vivono in campi profughi. Da dove vengono gli abitanti dei campi profughi in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza? Non sono di lì, ma ci sono arrivati in seguito alla guerra del 1948.
Questi popoli non accetteranno mai niente di meno della terra dei loro avi, quella che hanno lasciato nel 1948. E i profughi nei campi in Libano e in Siria? Dov`è la loro terra, la terra degli avi? E i palestinesi della Diaspora?
Nel caso degli ebrei, essi credono che la Cisgiordania sia territorio sacro loro, quando non il cuore della nazione ebraica. Non la chiamano Cisgiordania, ma Giudea e Samaria. Come possiamo mai privare in popolo della terra dei loro avi? Come possiamo mai privare un popolo della terra che considera sacra?
Alov Harabin, studioso sionista, scrive che il problema è il conflitto tra due popoli sulla proprietà di un pezzo di terra. Chaim Weizmann disse in una sua famosa frase del 1930: “Il problema è che entrambe le parti hanno ragione”.
Come possiamo sostituire l’una per l’altra? Semplicemente non è possibile; e nemmeno sarebbe ammissibile tentare. Gli ebrei, specie i più religiosi, non accetterebbero mai altre terre al posti di quelle che per loro sono sacre; e i Palestini, specie i più decisi, non accetterebbero mai altre terre che quelle dei loro avi.
Se si istituissero due staterelli, ciascuna parte vorrebbe continuare la lotta contro l’altra. I palestinesi in ogni modo tenterebbero di abitare nella terra dei loro avi e gli ebrei lotterebbero per vivere nella Terra Promessa.
Perciò la soluzione sta nel tener conto dello stato attuale delle circostanze e della realtà storica della situazione allo stesso tempo. Ciò dovrebbe portare all’istituzione di uno stato di “Isratina”, patria sia dei palestinesi sia degli israeliti. Ciò permetterebbe a entrambe le parti di trasferirsi e abitare dove meglio credano. Chi crede che la Cisgiordania sia la sua terra, può abitarci o visitarla come vuole; può anche chiamarla Giudea o Samaria, se così crede. Egualmente, se un palestinese volesse abitare nelle città della costa come San Giovanni di Acri, Haifa, Jaffa, Tel Aviv, Jadwal e le altre, o anche solo visitarle, potrebbe benissimo farlo. Ciò rimetterebbe tutto come prima. Così si metterebbe fine a un’ingiustizia e a una privazione. Non c’è storia di inimicizia tra ebrei e arabi. L’unica ostilità è che quella che scorre tra gli ebrei e i romani in tempi storici e tra ebrei ed europei in tempi più recenti.
Dopo la lunga storia di discriminazione e di persecuzione da parte dei romani prima e dei regni d’Europa poi e quindi la loro espulsione dall’Andalusia, funrono gli arabi a ospitare gli ebrei e a dar loro soccorso e protezione.
Alov Herabin, lo studioso sionista citato prima, scrive: “I palestinesi dicono: ‘Perché deve ricadere solo su di noi il costo delle persecuzioni degli ebrei in Europa?’ Ciò prova che i palestinesi non hanno mai perseguitato gli ebrei. Gli ebrei dicono: ‘Noi non abbiamo espulso i palestinesi’ e ‘erano gli arabi non palestinesi che dichiararono guerra contro di noi nel 1948’.
Ciò è prova lampante e impiegabile nell’interesse della soluzione attraverso l’istituzione di uno stato che integri le due parti.
Alov aggiunge: “L’incontro di israeliti e palestinesi è l’incontro di due popoli ceh hanno vissuto tragedie crudeli e dolorose mentre gli altri fingevano di non farci caso”.
Dopo aver dato colpa ai palestinesi per aver rifiutato gli ebrei sdegnati in Europa, Alov scrive: “Senza dubbio i palestinesi hanno le loro ragioni per questo atteggiamento. Qunado mai abbiamo sentito di un popolo che apre le porte a un altro rinunciando volontariamente a parte della sua terra per consentire a un altro popolo di stabilire la propria entità?” Alov si riferisce al responso del popolo palestinese di fronte all’immigrazione ebrea in Palestina: erano ebrei che non conoscevano la Palestina quando altri possibili territori erano l’Uganda e l’Argentina.
CONCLUSIONI:
- L’area è troppo stretta per ospitare due paesi confinanti.
- Due stati finirebbero a combattersi a vicenda perché la terra di ciascuno – credono loro – fa parte della terra dell’altro e ogni staterello si sentirebbe minacciato dall’altro.
- Nessuno dei due staterelli avrebbe posto e risorse per accogliere immigranti ebrei e profughi palestines.
- Ogni parte ha insediamenti nella terra dell’altra. Almeno un milione di palestinesi abitano nel cosiddetto Stato d’Israele e quasi mezzo milione di israeliti almeno abita al momento in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza. Altre sette includono i drusi, i cattolici, i cristani e i mussulmani. L’area fornisce un modello di integrazione e di coesistenza.
- Gli operai delle fabbriche israeliane sono palestinesi.
- La fiducia reciproca, se non l’integrazione, in merito a beni e servizi.
APPUNTI FINALI:
- Ritorno dei profughi palestinesi e dei dispersi alle loro case.
- Stato unico; il Libano serve da esempio.
- Elezioni libere sotto la supervisione ONU per la prima e la seconda legislatura.
- Smantellamento delle Armi di Distruzione di Massa dal nuovo stato e, se ce ne sono, dal Medio Oriente.
- Fine del conflitto in Medio Oriente. Il nuovo stato dovrebbe essere come il Libano: dovrebbe essere riconosciuto e avere facoltà di entrare nella Lega Araba.
Vi possono essere obiezioni al nome. Tali obiezioni superficiali non porterebbero aiuto; casomai danno. Chi le propone lo fa sulla base di considerazioni irrazionali ed emotive. Bisogna sceglier tra la sicurezza degli ebrei, con gli ebrei che vivono in pace coi palestinesi in un unico stato integrato, o la conservazione del nome e quindi il sacriticio della sicurezza degli ebrei e della pace in Medio Oriente e in tutto il mondo.
Non dovremmo ascoltare la voce della vecchia guardia o della mentalità da Seconda Guerra Mondiale. Dovremmo invece ascoltare la voce dei giovani, della generazione della globalizzazione, la generazione del futuro.
È la vecchia mentalità che sta dietro la tragedia attuale.
Uno stato esclusivamente ebraico sarebbe senza dubbio esposto alla minaccia araba e islamica. Uno stato integrato che comprendesse mussulmani ed ebrei, arabi e israeliti non vivrebbe mai sotto la minaccia di attacchi mussulmani o arabi.
Dal 1967 la situazione è stata tale che s’è determinato de facto uno stato unico ‘istratinese’ (israeliano-palestinese). Anche gli attacchi dei guerriglieri “Fedayin” venivano dai confini dello stato.
Gli attacchi attuali dei guerriglieri “Fedayin” non provengono dagli arabi del 1948, come si definiscono, ma da palestinesi che non vengono contati tra i cosiddetti arabi israeliani. È un chiaro esempio del successo dello stato unico integrato: l’Isratina.
[1] Letteralmente “una colomba”: a dove, che è l’espressione angloamericana per indicare chi sceglie una posizione moderata, rispetto all’estremismo dei “falchi” (hawks).
L’indovinello Pachistano
Ne’ gli Americani ne’ gli Israeliani vorrebbero vedere il Pachistan in possess…